I dubbi dell'amore, Sabrina - Capitan Kappa

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I dubbi dell'amore. Sabrina
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La sera avevo una confusione in testa che non avevo idea di cosa fare. Avevo in mente la bella Michelle, ma avevo anche un'altro impegno. Si chiamava Sabrina.
Era una ragazza di Rimini, era a Villagrande con la nonna e sarebbe partita due giorni dopo. Ci ronzavamo intorno da dieci giorni, era bella, dolce, elegante, molto cattolica. Una ragazza seria, con la testa sulle spalle. Sapevo che non avrei rimediato molto, almeno non quello che desideravo, ma non meritava che la lasciassi partire senza passare le ultime due serate con lei. Mi ero imbattuto nell'unica ragazza timorata di Dio residente a Rimini, dove d'estate tra tedesche, inglesi e un po da tutta l'Europa era un puttanaio vero e proprio.
Ma mi piaceva anche solo parlare con lei, era intelligente ed era sincera, credeva nel Grande Amore. Sapevo bene che non potevo essere io, sedicenne intriso di testosterone al limite dell'esplosione. No, non era giusto, dovevo onorare l'impegno con Sabrina, allora avevo anche una anima. La nascondevo bene, ma c'era.

Potevo comunque fare un salto al Bar di Sotto, le belghe erano li, Efrem si era premurato di spiegarmelo bene. Ma non potevo tardare, Sabrina aveva il rientro alle 23,00 e non volevo offenderla tardando. Indossai il giubbotto della Dainese e il casco da Cross AGV, non era ancora obbligatorio, ma era bello e mia Madre stava più tranquilla. Salii sulla Cagiva 125 SXT, la Rubacuori, e passai per la circonvallazione, non volevo farmi vedere da Sabrina. In fondo non facevo niente di male, andavo solo a prendere un caffè e a dare una occhiata.

Arrivai davanti al bar, le porte erano aperte e la famiglia Belga era seduta vicino all'ingresso e gustavano il gelato Italiano. Non mi riconobbero subito, io si. Misi la moto sul cavalletto laterale, era favolosa. Tolsi il casco e vidi l'intera famiglia Belga sussultare, il Belgio non era un paese di motociclisti, li andavano in bicicletta e un sedicenne con una moto del genere era alquanto insolito per loro. Io cercavo di rimanere impassibile, ma gli occhi di Michelle mi penetravano come la spada laser di Obi-Wan Kenobi.

La signora Elena, una donna ancora molto bella rispetto al marito, mi disse: "Ciao Emanuele, ma sei davvero tu? E' una moto bellissima, non serve una patente per portarla? Sembri un Cavaliere della Tavola Rotonda". Michelle e Ingrid non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso. Ero io, il ragazzo dell'antenna. Mi avvicinai al tavolo, presi il portafoglio senza dire una parola, sfilai la patente "A" e gliela mostrai.
Lei disse: "Ma quante cose sai fare? Hai già la patente. Ma non hai paura a guidare quella belva?" e tradusse per la famiglia. Io ero in orbita, ma ripresi la patente e la riposi nel portafoglio. Guardai le due ragazze incredule, e dissi alla signora: "Bonsoir Madame Elena, je ne sais pas à quel point je suis électricienne et je ne sais pas si je parle bien français, je sais que je perturbe le sommeil matinal de vos filles, mais je suis sûr d'une chose, c'est la moto est le prolongement de mon corps".
Più o meno speravo di aver detto cosi:
"Buonasera Signora Elena, non so quanto sono bravo come elettricista e non so se parlo bene il Francese, non credo. So di essere il disturbatore del sonno mattutino delle vostre figlie, ma di certo so una cosa, quella moto è la estensione del mio corpo." Lo avevo detto sorridendo naturalmente, Michelle e Ingrid arrossirono, ma scoppiarono a ridere, così come la signora Elena e il marito. La signora Elena mi chiese di sedermi, il marito voleva offrirmi un gelato, le risposi in italiano che se quel ficcanaso dietro il bancone era in grado di farmi un caffè me ne sarei andato subito. Le dissi che avevo un impegno che non potevo rimandare. Era la verità. La Madre tradusse alla famiglia.

Mi avvicinai al bancone e ordinai il caffè, ma con l'occhio destro roteato a quasi 360 gradi vidi Michelle infastidita. Dino il Barista rideva, il ficcanaso aveva ascoltato. Guardai l'interno del bar. C'erano tutti i giovani playboy del paese. I miei amici. Evidentemente la voce aveva girato. Nessuno di loro frequentava quel bar, me a parte che girazzavo un po' per tutti i locali del paese, ma quella sera erano tutti li. Come caproni ingrifati. La cosa mi innervosì, ma non potevo e non volevo deludere Sabrina. Li salutai uno ad uno, ma con freddezza e sprezzo. I maiali sapevano che ero semi impegnato con Sabrina e non vedevano l'ora che me ne andassi, io "e quel cazzo di Moto". Mandai giù il caffè di Dino, era molto buono, ma non lo avrei mai ammesso, mi girai e mi avviai all'uscita. Mentre passavo e salutavo la famiglia belga impegnata con gelato, coppette e cucchiaini, Michelle si alzò in piedi e per la prima volta udii il suono della sua voce dolcissima, in quel francese che in bocca alle donne è favoloso, in bocca ai maschietti li fa sembrare un popolo di frocetti (io pensavo che lo fossero, e forse era vero).

"Vous ne pouvez vraiment pas vous asseoir pendant dix minutes? Nous ne savions pas que vous travailliez sur le toit et nous ne voulions pas vous offenser. Allez, juste dix minutes."

Era disinibita e spigliata, bellissima e mi resi conto che non era minuta, era alta come le ragazze medie di Villagrande, ma aveva un fisico perfetto, più maturo delle ragazze della sua età. Era sensuale nella sua gonna e nella maglietta. Molto più sensuale delle Villagrandesi, che magari erano belle come lei, ma quei calzettoni non li sopportavo. Aveva parlato anche lei troppo veloce e avevo afferrato poche parole. Guardai la madre in cerca di aiuto.

"Emanuele, Michelle non sa ancora che deve parlare lentamente per farti capire. Ha detto se davvero non puoi fermarti nemmeno dieci minuti, e a specificato che ne lei ne Ingrid sapevano che eri sul tetto per lavorare." La ragazza voleva scusarsi.

Rimandai giù un altro bolo di saliva da un chilo. Ricambiai colore otto volte in trenta secondi, Il mio cervello girava dentro al teschio come il volano di un motore impazzito. Sabrina sicuramente era già alla Sala Giochi. Non ho idea di quanto tempo ci misi a risponderle.

"Signora Elena, purtroppo questa sera non posso proprio fermarmi. Mi piacerebbe fermarmi con voi ma ho un impegno, proprio non posso. Ma dica a Michelle e a Ingrid che appena me ne sarò andato, i miei amici le circonderanno come mosche intorno al miele. Non sentiranno la mia mancanza".La signora Elena scoppio a ridere e tradusse guardando Michelle.

Ora toccava a lei cambiare colore. Sul suo viso vidi tutti i colori dell'arcobaleno. Era bellissima in ogni colore.

La Signora Elena le mise un braccio sule spalle e mi disse sempre con quel bellissimo sorriso italiano: "Sono sicura che avrai tante ragazze che ti girano intorno, vai pure tranquillo, ma ti chiedo un favore, non chiamarmi Signora, sono Elena. Ma stavolta non tradusse, Michelle stava ancora cambiando i colori del viso.

Avevo l'impressione che quella donna mi leggesse nei pensieri, questo mi faceva un po paura,ma allo stesso tempo la stimavo tanto anche se la conoscevo appena. Salutai prima la Sign.... Elena, poi continuai in francese: "Bonsoir Michelle, bonsoir Ingrid, bonsoir Monsieur Alain, a demain matin, l'antenne ne se monte pas tout seul".

Finalmente il sorriso illumino il viso della bella Michelle. Dino, il barista, si era avvicinato, proprio per ascoltare, lo guardai negli occhi e lo minacciai: "Se dici una sola parola di quello che hai ficcanasato ti faccio bere un litro del tuo caffè schifoso". Elena aveva capito e si mise a ridere.

Misi il casco, salii sulla moto, ma ne scesi di nuovo, tolsi il casco, mi riavvicinai a Michelle, la guardai dritto negli occhi, dal di qua del tavolo e le dissi: "Si vous voulez goûter la glace italienne, la seule glace au monde, il faut la faire servir dans un cornet et la lécher directement avec la langue. La cuillère en plastique gâche toute la saveur délicate de notre spécialité. Ta mère le sait, il y a encore beaucoup de beauté italienne en elle".

Avevo detto senza pensare molto: "Se vuoi gustare il gelato italiano, l'unico vero gelato del mondo, devi fartelo servire in un cono e leccarlo direttamente con la lingua. Il cucchiaino di plastica rovina tutto il delicato sapore della nostra specialità. Tua madre lo sa, c'è ancora tanta bellezza Italiana in lei".

Non lo avevo fatto volontariamente, ma poteva essere una frase equivoca. E ridaiie. Ricominciai a cambiare colore.

Ma tutta la famiglia scoppio a ridere, mi misi a ridere anche io, Elena mi disse: "Hai davvero tante cose speciali, esattamente come tuo Padre", le sorrisi dolcemente, credo che fosse lusingata. Mi ricomposi, infilai il casco, salii sulla Cagiva e partii, senza impennare, solitamente lo facevo.

In un quarto d'ora avevo sudato come per montare 10 antenne sui tetti nel deserto del Sahara. Ma ero tranquillo, Michelle non avrebbe dimenticato e forse i miei amici allupati non avrebbero avuto fortuna con lei, e non ero in ritardo per Sabrina.
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